L’insostenibile brevità dello Haiku

« Lo haiku non è un pensiero ricco ridotto ad una forma breve, ma un evento breve che trova tutt’a un tratto la sua forma esatta ». (Roland Barthes)
Secondo la lista delle arti stilata dal poeta italiano Ricciotto Canudo, la poesia è considerata la quinta arte. Essa crea un componimento di frasi detti versi, scegliendo le parole da accostare secondo precise leggi metriche. L’Opera poetica è l’unione tra il significato semantico e il suono musicale dei fonemi. Si avvicina quindi, soprattutto quando è recitata, alla musica.
La poesia può essere lunghissima, come avviene nei poemi: il Mahabharata, poema epico indiano, consta di quasi 100.000 strofe. O brevissima, come in Mattina, la celebre poesia di Ungaretti che si limita a: M’illumino d’immenso.
O come negli Haiku giapponesi.
Si tratta di componimenti poetici formati da 3 versi, brevi, intensi. La loro forza è la fuggevolezza. Come un profumo sentito per la via, ci inonda di sensazioni che solo successivamente, ricordiamo di aver già sentito.
Il poeta stesso è pervaso da quella sensazione. E ciò che scrive è troppo breve per ripensarci, e una seconda stesura migliorerebbe la tecnica della poesia ma diminuirebbe l’intensità dell’attimo.
Ma, noi ci chiediamo:
La brevità di tale composizione è dettata solo da necessità poetiche o anche dalle necessità biologiche del poeta?
Cerchiamo di rispondere a questa domanda analizzando il primo haiku della storia:
Energia incontrollabile!
Forza della natura!
E’ l’acqua.
Si tratta di un haiku giapponese, che sembra trovare il soggetto dell’azione solo alla fine. Come se il poeta, scrivendolo, avesse avvertito una necessità impellente di cui non riusciva a capire la causa. Solo alla fine – l’acqua – ragione di questa energia incontrollabile, si rivela. In tutti i sensi. Questo haiku venne infatti ritrovato bagnato di urina nella casa di un istruito artigiano di Kagoshima. Evidentemente, l’espressione poetica ha in qualche modo accelerato il processo fisiologico, che è esploso nell’energia incontrollabile evocata, senza lasciare il tempo al poeta di scrivere altro. Tutto si compie e trova appagamento con la liberazione del bisogno fisiologico. Notiamo come i versi diventano sempre più brevi, come se il tempo di scrivere venisse compresso dall’urgenza di agire. O meglio di lasciarsi agire, e diventare lo strumento di tale forza della natura. La vita sopravvive soltanto facendosi opera d’arte di se stessa.
Così l’arte assume un ruolo evocativo e catartico. Più che esprimere una sensazione, questo haiku esprime un desiderio, un bisogno che si compie. Certo, si dirà che la necessità di urinare era già presente nel poeta. Ma non con quell’urgenza, tale da sorprendere l’autore mentre scriveva.
Crediamo che solo in un haiku possa avvenire una magia simile. Senza voler sminuire le altre forme di letteratura. Quindi perché non provare a scrivere degli haiku/desideri, per farli avverare?
Noi ne pubblichiamo uno che ha fatto storia. Un desiderio espresso quasi per scherzo, che purtroppo è diventato una realtà per tutti noi. Se volete aggiungerne altri, ne saremmo ben felici.
L’impiegata della banca:
io guardo lei,
lei guarda le mie credenziali.
vorrei proporvi un senryu che, a differenza dell’haiku, si concentra sulla satira e l’ironia, tra il divertimento e il fastidio e ritrae le caratteristiche, le motivazioni ed i comportamenti della gente.
Chi va a dormì cor culo che je rode
se sveja
cor dito che je puzza
Un ottimo esempio di haiku in dialetto romanesco, semplice quanto vero.
Un susseguirsi tra azione e reazione, di cui conosciamo inizio e fine, e resta a noi unirle ricavandoci l’evento centrale.
Molto bene!
Faccio i miei complimenti per questo articolo illuminante sulla genesi degli 俳句, mia grande passione fin da quando avevo undici mesi. Ho studiato l’haiku in questione per i successivi quindici anni. Su di esso ho scritto una monografia intitolata “L’haiku in questione”, ed è qui che ho espresso la mia opinione secondo la quale la necessità di urinare non deve essere intesa come appartenente al poeta, ma come un bisogno universale.
“I poeti non inventano le poesie, la poesia è in qualche posto là dietro, è là da moltissimo tempo, il poeta non fa che scoprirla.” La necessità di urinare – come la poesia – non sorprende il poeta, viceversa è il poeta che toglie il velo sulla necessità di urinare e questa può apparire a noi lettori nella sua terribile urgenza, nella sua terribile pesantezza.
Dov’è quindi la funzione catartica della poesia che ha evocato l’autore dell’articolo? Ovviamente nell’atto di liberarsi di questa pesantezza espletando la funzione nel luogo più consono, il quale possiamo immaginare fosse per l’autore dell’haiku – come per tutti noi – les toilettes. É da questa considerazione che arriviamo ad un Second degré: la contrapposizione tra pesantezza e leggerezza.
Il bisogno impellente di urinare è indubbiamente un peso, un fardello che l’autore riesce a cristallizzare, negli splendidi versi dell’haiku, per poi liberarsene e ritrovare la lievità.
Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa? Non desideriamo forse essere gravati , oppressi, piegati da carichi di ogni genere? L’amore stesso non è forse il più celestiale e pesante dei fardelli?
Il bisogno impellente di urinare è dunque l’immagine del più energico compimento vitale. Quanto più il carico è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica.
Proviamo invece a pensare a ciò che Milan Kundera chiamava l’insostenibile leggerezza dell’essere: l’assenza assoluta di un fardello: allontanarsi dalla terra come un pallone areostatico senza controllo, essere inizialmente eccitati e progressivamente terrorizzati dalla crescente lontananza dalla terra, dall’essere terreno. Una lontananza/leggerezza mostruosa e irrimediabile.
Cosa scegliereste allora? La pesantezza o la leggerezza?
Sotto quest’ottica l’Haiku si presenta come un componimento che esprime nei primi due versi un energia positiva e avanguardistica, quasi futurista: “Energia incontrollabile! Forza della natura!”, per poi riportarci ad una realtà melanconica, leggera eppure sconfortante: “è l’acqua”.
Questo principio può essere facilmente applicato anche al secondo Haiku citato nell’articolo. Tensione e speranza nei primi due versi:“L’impiegata della banca – io guardo lei” e avvilente constatazione nel terzo verso: “lei guarda le mie credenziali.”
Altro celebre esempio:
L’italia è una Repubblica,
democratica,
fondata sul lavoro.
Ringrazio il sito Criptic’art per avermi dato la possibilità di esporre la mia opinione in un ambiente scevro da preconcetti e disposto ad analizzare i differenti punti di vista.
Ringraziamo intanto il Padiglione per averci fornito la dicitura dello haiku in lingua giapponese.
L’indagine del Padiglione è semplice e sconcertante a un tempo. Oggi vorremo recitarla così:
L’indagine del Padiglione
è semplice…
e sconcertante a un tempo.
Essa si basa sulla sorpresa che gli haiku suscitano nel cuore del lettore. In effetti in tali componimenti, la chiave della realtà espressa risiede nell’ultimo verso. Esattamente come avviene nello haiku captato dal Padiglione, ispirato all’art.1 della Costituzione italiana. E’ l’ultimo verso che ha funzione catartica, perchè non si pone una semplice domanda: dal lavoro di chi, è fondata questa benedetta Repubblica? E’ questo verso quindi che ha la funzione di purificare gli sfaccendati, che anche non lavorando vengono messi sullo stesso piano dei lavoratori, grazie alla loro appartenenza alla Repubblica democratica dei primi due versi.
Grazie Padiglione, non esiti a contattarci quando scrive nuovi articoli su uno dei suoi molteplici campi d’interesse. Saremmo lusingati di ospitare una sua rubrica.
Vorrei citare in Haiku in lingua napoletana (anche se l’autore ignorava che si chiamasse così) datato inizio secolo XIX di Salvatore Di Giacomo:
“Chiove
Comme caspita chiove
Che cacamente ‘e cazz …”
In pochi ed essenziali versi il poeta esprime il suo disappunto per gli avversi eventi atmosferici.
Grazie signor Principe per questo esempio, che rafforza ulteriormente le argomentazioni che avevamo già ampiamente discusso col Professeur Padiglione. Anche in questo simpatico haiku, la risoluzione delle premesse avviene con l’ultimo verso. Nei primi due, l’autore osserva semplicemente, senza giudicare. Fin qui non sappiamo se la pioggia osservata, sia latrice di sollievo o di fastidio. In effetti l’autore potrebbe essere un agricoltore che attendeva con ansia la precipitazione atmosferica. La risposta esplode nell’ultimo verso, in cui il chi scrive esprime un’opinione chiara e decisa riguardo alla pioggia, sollevandoci da ogni dubbio. In questo modo lo scrittore ci dona un’idea della sua personalità, si mette a nudo, quindi, evolvendo dal ruolo di scrittore al ruolo di artista.